Ilva, rispunta l’oblio
La legge in questione è il decreto “salva Ilva bis”, convertito appunto
in legge il 4 agosto 2013. L’atto legislativo che, nei fatti, ha
eliminato la figura del Garante ed ha rinviato l’attuazione, a decorrere
dal 2 agosto, dei tempi tecnici previsti dall’Aia per la messa a norma
degli impianti dello stabilimento Ilva di Taranto. Da allora, sembra
essersi attenuata la morsa della cittadinanza sulle tematiche inerenti
l’inquinamento ed i conseguenti lavori per l’ambientalizzazione del
centro siderurgico tarantino.
Dopo oltre un anno dall’inizio
dell’inchiesta “Ambiente svenduto” della Magistratura, nella quale la
stessa ha additato la responsabilità di disastro ambientale alla
famiglia Riva ed agli allora responsabili dell’Ilva, i Riva sono
nuovamente a piede libero (in virtù del termine delle misure cautelative
degli arresti domiciliari prima del processo) ed a Taranto, in
particolar modo al quartiere Tamburi, si continua a morire per malattie
correlate all’inquinamento.
A distanza di poche settimane dalla
conversione in legge del decreto legge, abitanti e commercianti del
quartiere Tamburi mostrano perplessità su come possa evolvere la
situazione, se effettivamente si riuscirà a contemperare le ragioni
dell’ambiente e della salute con quelle del lavoro e dell’occupazione.
A far aumentare i malumori anche le recenti dichiarazioni del
commissario Ilva, Enrico Bondi, (seppure ridimensionate e smentite dal
diretto interessato). Dichiarazioni, quelle secondo le quali l’alta
mortalità a Taranto per tumore sarebbe correlata ad un maggiore abuso di
alcol e tabacco, potrebbero indurre persone male informate a giungere
alla conclusione che il quartiere in questione, dati alla mano sulla
mortalità per tumore, sarebbe popolato da incalliti fumatori ed
alcolisti sin dalla tenera età.
Al contrario, quello dei Tamburi è
un quartiere di lavoratori, gente umile, abituata a convivere con la
presenza del “Mostro” e costretta a subire, con rassegnazione, gli
eventi.
Francesco Semeraro, proprietario di un’edicola in via
Orsini, pensa che «andrà a finire tutto in una bolla di sapone».
Intervistato sulle ragioni di questo silenzio calato sull’intera vicenda
all’indomani delal conversione del decreto in legge, dichiara che «la
classe politica tarantina ed il sindacato non hanno la forza di imporsi
nei confronti di Riva, e la città è ostaggio di questo industriale. A
ciò va aggiunto – prosegue – che la stampa sta mollando un po’ la presa,
così come i cittadini, nei quali è subentrato un po’ di rassegnazione
visto che, dopo tanto clamore, hanno notato che i risultati, ad oggi,
non sono arrivati».
Nicoletta Lo Mazzo, commerciante di un noto
panificio di via Galeso, riscontra, fra la sua clientela che «serpeggia
del malumore, misto alla poca fiducia. Sono le solite cose – prosegue –
che accadono qui da noi: cattiva amministrazione, poca partecipazione di
queste nelle questioni importanti della città, che gravano sul
cittadino che ha poco potere in queste cose». La sorella Nicoletta, alla
domanda sulle cause di questo silenzio, ha una sua opinione ben
precisa: “«Si è voluto mettere tutto a tacere; chi in passato si è
arricchito le tasche con questa faccenda si è ora tirato indietro».
Carmelo Di Maglie, proprietario di un conosciuto caseificio in via
Galeso, sulla questione della minore attenzione riscontrata ultimamente
dalle istituzioni e dall’Arpa nell’evidenziare le eventuali anomalie,
sostiene che «in verità non c’è mai stato tutto questo daffare che
dicono; l’Arpa e le istituzioni si sono sempre disinteressate della
salute degli abitanti del quartiere e francamente non vedo differenze.
Sì, se ne è parlato un po’ – prosegue – all’inizio della questione
dell’inquinamento ma poi, tutto è rimasto com’era e così sarà.
L’attenzione di noi cittadini è sempre alta sulla questione, il problema
è che mai nessuno ci darà retta».
Ida, una casalinga del quartiere
Tamburi, afferma il fatto che «una volta fatta la legge, tutto è caduto
nel dimenticatoio. Spesso mi domando – sostiene – come mai, proprio
adesso che i cittadini dovrebbero ribellarsi, si è bloccato tutto?».
Per Adele, giovane neolaureata del rione Tamburi, «in passato c’è stata
l’intenzione di esprimere il proprio dissenso in modo pacifico. Visto
che la popolazione – dichiara – una volta appreso che questi metodi non
hanno fatto approdare a nessun risultato e dato che evidentemente la
cittadinanza non sente ancora forte quella spinta per usare dei metodi
più drastici al fin di riuscire ad essere ascoltata, le istituzioni
approfittano di questa inerzia dei cittadini, succubi su queste
tematiche». (Corgiorno)
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