Ilva-Lucchini, integrazione possibile
Perché - con la cruda sbrigatività che gli amici e i nemici gli
riconoscono fin dai tempi di Mediobanca e di Montedison - Enrico Bondi
non ha bollato come "impraticabile" la richiesta - pressante - del
Governo di provare a inserire il (logorato) tassello della Lucchini nel
(complicatissimo) mosaico del risanamento industriale e ambientale
dell'Ilva di Taranto? Perché non l'ha fatta cadere nel vuoto?
Le motivazioni che il ceto politico toscano ha scaricato sul Governo
sono emotive fino alla demagogia, perché sembrano nascondere la voglia
di diluire nell'Ilva il problema della Lucchini, ma di fronte alla
disperata situazione di Piombino non possono non risuonare come quasi
comprensibili.
L'ipotesi di lavoro, che va attentamente depurata da ogni rischio di una
vendita camuffata, è quella di realizzare a Piombino un centro di
produzione di materia prima che alimenti la stessa Piombino e che sia di
supporto all'Ilva.
Quale sarebbe il vantaggio per quest'ultima? C'è un elemento,
strettamente connesso al particolare profilo giuridico-industriale in
cui si trova l'Ilva, di cui bisogna tenere conto: l'Aia,
l'autorizzazione integrata ambientale, ha posto un vincolo sulla
produzione di ghisa liquida a Taranto.
Fra il 2007 e il 2008, prima della crisi economica internazionale e del
buco nero giudiziario in cui è precipitato il gruppo siderurgico,
l'impresa produceva 9,5 milioni di tonnellate di ghisa all'anno. Ora
l'Aia fissa un tetto di produzione a 7 milioni di tonnellate. Gli oltre
due milioni di tonnellate che mancano potrebbero essere forniti da
Piombino. Questo è il vantaggio per l'Ilva.
E per Piombino? Se l'Ilva dovesse attivare una integrazione con
l'acciaieria toscana, per quest'ultima vi sarebbe una prima sostanziale
conseguenza: molti dei dipendenti, che oggi paiono destinati a perdere
il posto di lavoro anche in caso di non definitiva liquidazione della
società, potrebbero rientrare in fabbrica, dove non sarebbe spento per
sempre l'altoforno.
Oggi, per la Lucchini, sono in lizza due cordate: la prima è composta da
Beltrame e da Klesch; la seconda da Duferco, Acciaierie Venete e
Feralpi. Entrambe le cordate, che hanno manifestato un interessamento a
diversi livelli, sono portatrici di una cultura basata sul forno
elettrico, che si serve del rottame. Non hanno competenze di gestione e
di trasformazione del minerale. Dunque, appare difficile che possano
mantenere un perimetro occupazionale che, rispetto agli attuali più di
2mila dipendenti, vada oltre 600-650 addetti.
In Italia le uniche due realtà che conoscono bene la siderurgia
estrattiva - quella fondata appunto sull'estrazione del ferro dal
minerale - sono l'Ilva e la Lucchini di Piombino. E, se in qualche modo
l'Ilva riuscisse a inserire nel suo piano industriale una integrazione
con la Lucchini, il numero di dipendenti necessario sarebbe assai
maggiore. Il problema è, appunto, che cosa voglia dire "in qualche
modo": l'Ilva è commissariata, dunque - anche se traesse un vantaggio
industriale da questa idea - non potrebbe acquistare la Lucchini. Una
ipotesi potrebbe essere l'affitto di un ramo d'azienda.
C'è, poi, il nodo della delimitazione del campo di gioco. Nel senso che
l'Ilva potrebbe giocare in proprio, gestendo tutto il ciclo siderurgico
di Piombino. Oppure potrebbe integrarsi con la cordata che avrà la
meglio sull'altra: all'Ilva quanto serve per i prodotti piani, agli
altri i forni elettrici con cui produrre prodotti lunghi. Comunque sia, a
Piombino ci sarebbero già le attrezzature per fare i semilavorati da
indirizzare verso il laminatoio di Taranto.
I costi di trasporto e di logistica, se sostenuti all'interno dello
stesso gruppo siderurgico, non sono per definizione proibitivi: ai
tragitti Cornigliano-Taranto e Novi Ligure-Taranto si aggiungerebbe
Piombino-Taranto. Va sottolineato come, a Piombino, ci sia un asset -
spesso trascurato - come il porto. È vero che il fondale dovrebbe essere
più profondo, per ospitare le navi di grandi dimensioni che oggi
servono la siderurgia internazionale. Ma è altrettanto vero che gli
attracchi sul Tirreno sono più pregiati rispetto a quelli
sull'Adriatico, tanto che il valore di un molo a parità di capacità
varia fra il 30 e il 35% in più.
Dunque, una integrazione Ilva-Lucchini - sempre che le richieste di Roma
non siano giudicate impraticabili da Bondi e dal suo staff - potrebbe
anche contribuire a fare tornare in attività un porto, quello di
Livorno, che oltre al turismo dei traghetti verso le isole ha una
vocazione siderurgica tutt'altro che irrilevante.
Un porto il cui livello di saturazione ha una correlazione diretta con
quanto succede nello stabilimento, che a regime avrebbe dovuto produrre
2,5 milioni di tonnellate di acciaio, ma che in realtà negli ultimi anni
non ha mai superato gli 1,4 milioni di tonnellate. (Sole24h)
Nessun commento:
Posta un commento