sabato 30 maggio 2009

Punti di vista: storie dall'altro mondo

Dopo l'Ilva, ancora l'Ilva.
L'immutabilità religiosa dello scenario urbano
in una prospettiva vista da un tubo
.


Il vuoto
Giuse Alemanno, Voce del Popolo del 17 maggio 2009

Come si può spiegare ciò che non c’è?
Come si può far capire ai lettori il senso di smarrimento di chi lavora in ILVA nell’epoca della cassa integrazione che coinvolge il 70% della forza lavoro? Credo sia impossibile, anche usando al meglio il mio mestiere delle parole. Più volte, da queste pagine, ho detto che l’ILVA, per chi ci lavora dentro, è una entità complessa, articolata, indefinibile. Una volta arrivai al paradosso di scrivere che ‘L’ILVA non esiste’ perché, in realtà, non esiste per come viene comunemente, e con una certa superficialità, percepita.
Ma da allora sembra sia passato un secolo, invece sono soltanto trascorsi una manciata di mesi.
Ed è successo di tutto.
Primo dicembre 2008: la cassa integrazione riguardò 2.146 lavoratori. 43 giorni dopo, 12 gennaio 2009, i coinvolti nei giri di ‘cassa’ salgono a 3.544. Al 2 marzo si raggiungono i 5.146 cassaintegrati. Dal primo giugno saranno 6.700.
Come faccio, a parole, a trasmettere ai lettori che effetto straniante si avverte a camminare nelle campate vuote? Per noi che lavoriamo in ILVA i rumori, i fumi, le scintille, i mezzi pesanti, le gru, i carri ponte, le montagne di minerale, i coils d’acciaio, i tubi, e tutto il resto sono ‘normali’. Ma la cosa più normale di tutte è il continuo incontro/scontro tra colleghi, con le mille inflessioni di dialetti diversi, con le mille e mille storie di una fabbrica quasi completamente al maschile. Dove saranno oggi Martino di Alberobello, e Antonio di Casarano, e Giampiero di Francavilla Fontana, e Stefano di Laterza, e tutti gli altri? Non ho mica voglia di scrivere una Spoon River tarantina…
La cassa integrazione ha sottratto ai lavoratori dell’ILVA, oltre ai soldi, il senso di comunità.
Altra cosa dura da ingoiare è un paradosso: sui giornali pugliesi del primo maggio, festa dei lavoratori, venne pubblicata in prima pagina, condita di pere-ppe-ppè, la notizia del successo di Marchionne per l’accordo FIAT – Chrysler e, nelle pagine regionali interne, l’ufficializzazione della cassa integrazione per l’ILVA al 70% della forza lavoro. Silviuccio di Brianza spese, in quel di Napoli, il suo sorriso a premio del manager di Chieti in cachemire blu, maledizione se disse una parola su 6.700 lavoratori che fibrillano in cassa integrazione fuoriuscendo da una azienda il cui proprietario intervenne, in solido, nell’affaire CAI-Alitalia.
Core ‘ngrato!
Addirittura i massimi livelli dirigenziali dell’ILVA si sono affacciati dai mezzi di comunicazione per dire: ‘guardate che il guaio è serio ’. C’è voluta una intervista di Emilio Riva al Sole 24 Ore per sentire l’unica cosa che ha creato un minimo di fiducia ai lavoratori dell’ILVA; pur non dicendolo a chiare lettere, Emilio Riva ha lasciato intendere che l’acciaio non abbandonerà Taranto e che lo stabilimento ILVA è strategico negli interessi del gruppo Riva.
In questo momento gli unici lavori che si fanno sulla Via Appia sono quelli per adeguare gli impianti (fermi) alle recenti norme riguardanti le criticità ambientali.
Che gli impianti siano fermi hanno contezza soprattutto gli abitanti dei quartieri di Taranto confinanti con l’ILVA: erano anni che non respiravano aria così pulita.
Resta solo da augurarsi che da questa crisi si esca tutti al meglio e in fretta, con un ambiente definitivamente più pulito, con condizioni lavorative definitivamente consolidate e con un migliorato rapporto tra i massimi rappresentanti dell'ILVA e la comunità jonica.
E poi perché vorrei cancellare una scritta che ho letto su un armadietto e credo che sia ancora lì: L’ILVA E’ UN BEL POSTO PER VIVERCI, SE SEI UNA BRAMMA.

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