sabato 18 ottobre 2008

Lettera aperta a Vendola


Pubblichiamo una lettera di una cittadina al Presidente della Regione Puglia, in arte Nichi!

Foto: Sario Binetti

Nichi Vendola, vieni a ballare in Puglia…

Leggere una dichiarazione e non capire chi l’ha scritta ingenera confusione e destabilizza.
E proprio questa è la sensazione che provo leggendo le sue dichiarazioni, in qualità di governatore della Puglia, sull’intricata questione dell’ILVA (ex Italsider), lo stabilimento siderurgico di Taranto.
Non uno stabilimento qualsiasi, ma uno smisurato stabilimento siderurgico che produce il 90,3% della diossina nazionale.
Leggo che, a suo dire, “il siderurgico di Taranto dà lavoro diretto o indiretto a 25mila famiglie; non si vince la sfida con la globalizzazione impugnando l'arma della pizzica. Senza la grande impresa non si va da nessuna parte”.
E l’arma della pizzica paiono impugnarla comitati spontanei di cittadini tarantini che vogliono indire un referendum consultivo per chiedere alla città di Taranto se vuole o meno smantellare l’ILVA.
L’ILVA è uno stabilimento che ha trovato una brillante soluzione alla disoccupazione, perché da un lato dà lavoro e dall’altro uccide e lo fa nei modi più originali. Inquinando, spargendo polveri sottili e tumori, contaminando latte materno, non rispettando nessuna norma in materia di ambiente e, giusto per essere coerenti, nemmeno in materia di sicurezza sul lavoro. Dulcis in fundo, anche mobbizzando pesantemente chi parla una voce fuori dal coro.
L’ILVA inquina e uccide lentamente e, a volte, uccide anche la capacità di pensare.
L’ILVA inquina e uccide ma colora anche.
È uno spettacolo. Basta seguire la strada che costeggia da un lato l’ILVA con le sue ciminiere a cielo aperto e dall’altro ciò che resta dell’acquedotto romano, lasciato a marcire, e vedrete l’unico acquedotto romano colorato di rosso.
E per quanto il rosso sia un colore che ci piace, le polveri rosse ci piacciono un po’ meno.
Le polveri si depositano e cambiano il colore delle cose, dei muri e, a volte, tra polveri e fumi, si rischia di non riuscire più a vedere i confini delle cose, si rischia di dimenticare qualcosa di essenziale.
Che una città non può morire per lavorare, che cedere al ricatto occupazionale è fare il gioco di chi ci avvelena e continuerà a farlo, semplicemente perché nessuno lo ferma.
Che obbligare a rispettare la legge è qualcosa di ben diverso dal sollecitare, auspicare, raccomandare, che mi pare sia quello che lei si sta limitando a fare.
Di ILVA si muore. Ma di ILVA vivono 25mila famiglie.
Questa la carta, quella del ricatto occupazionale, che ama giocare Riva, il ricco signore del nord che ha acquistato a svendita l’Ilva ex statale.
E gioca questa carta quando gli fanno timidamente notare che il suo è uno stabilimento fuorilegge.
Caro Nichi, lei che ha affabulato anche me con le sue doti da bravo oratore parlando delle “periferie del dolore”, cosa sta facendo per Taranto, immensa periferia del dolore e del veleno?
Se le battaglie non si combattono a colpi di pizzica, lei con cosa le sta combattendo le battaglie?
Ma poi battaglia possiamo davvero chiamare quella che sta conducendo?
Lo definirei piuttosto un ameno scambio di cortesie tra lei e Riva, una corrispondenza di amorosi veleni.
“Scusi Riva può abbassare la soglia della diossina e del mercurio in modo da rispettare le soglie comunitarie ed evitare di ammazzare la gente nei più disparati modi? Sì lo so che la legge gliela ha fatta ad hoc il suo amico Berlusconi e che attualmente il suo è l’unico stabilimento in Italia che può emettere queste quantità di veleno…ma sarebbe auspicabile che lo facesse. Con calma però”.
E di fronte al “padrone” che risponde “ora non mi va, magari tra un po’ e state in guardia che chiudo acciaierie e burattini e me ne torno sul Lago di Garda”, come fa a non cogliere l’arroganza del potere, l’arroganza di chi comanda con i soldi, l’arroganza e la volgarità di chi è abituato a comandare e a non essere controllato?
Mi spieghi perché per stare dalla parte degli operai è necessario fare da cassa di risonanza alla “voce del padrone”.
Con le parole siamo tutti bravi, con i fatti un po’ meno, ma qui non vedo né fatti né parole che mi piacciano.
“Come si può pensare, in questa fase, di chiudere l'Ilva, che fornisce lavoro diretto o indiretto a 25mila famiglie?”. Ecco un’altra frase che poteva dire Riva, invece lei ha avuto la compiacenza di precederlo.
Ma certo lei esige garanzie di ecocompatibilità…
La garanzia di non morire facendo un gesto insopprimibile e quotidiano come quello di respirare è una garanzia che non si esige. O c’è o non se ne fa nulla.
Mi dica quale (ulteriore) dilazione si può accordare a chi sparge veleni e morte?
E di fronte ad una città disperata e stremata che alfine trova la forza per reagire e chiede di indire un referendum consultivo per chiedere alla città stessa se vuole continuare ad essere avvelenata, lei cosa fa?
Dimentica persino il valore democratico di un referendum e dice che ora non è tempo di referendum. Certo, questo lo capisco.
Perché un referendum di questo tipo è una sconfitta per chi, come lei, poteva e doveva controllare e non lo ha fatto.
Nichi Vendola, dica qualcosa.. anche se non di sinistra, ma dica qualcosa e venga a ballare in puglia…
“dove quei furbi che fanno imprese non badano a spese, pensano che il protocollo di Kyoto sia un film erotico giapponese… dove la notte è buia buia tanto che chiudi gli occhi e poi non li riapri più”.
Daniela Greco

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