venerdì 19 dicembre 2008

Ilva cassa integrazione a quota 4346!

Fulvio Colucci (La Gazzetta del Mezzogiorno) I numeri della crisi all’Ilva sono «gravi e significativi». Producono onde anomale come uno tsunami. Non solo 2200 cassintegrati in più dal 12 gennaio (ora sono oltre 4mila) con, in pratica, quasi il dimezzamento della forza lavoro nei reparti interessati da gennaio, ma anche la chiusura dell’acciaieria 1, dell’altoforno numero 1 e di una delle due linee dell’agglomerato. Ieri l’azienda ha annunciato un taglio drastico al treno nastri 2 che marciava ancora a pieno regime: da 21 a 15 turni settimanali. In pratica questo implica, quasi il dimezzamento della produzione dello stabilimento. A rendere noti i numeri, ai segretari dei sindacati metalmeccanici (Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil), il capo del personale del Gruppo Riva, Pietro De Biase. L’azienda spera sia questo il punto più basso dell’ondata recessiva. E respinge ogni addebito a proposito del «sincronismo» tra la decisione di ampliare il numero dei cassintegrati e il recente varo della legge regionale sulla riduzione della diossina.

Ieri pomeriggio, quindi, durante l’incontro in azienda, lo spettro di una cassa integrazione «allargata» ad altri 2mila 200 lavoratori si è tramutato in realtà. Ora la somma complessiva degli esuberi, aggiungendo i 2mila 146 operai per i quali era stato già deciso il ricorso all’ammortizzatore sociale, sfora, come dicevamo, le 4mila unità. E’ il pesante costo di una crisi che sembra non avere limiti di spazio e, purtroppo, di tempo. Le previsioni di una fine del periodo di cassa integrazione per il mese di febbraio proprio ieri si sono frantumate contro l’evidenza dei numeri. Sì, la cassa resta formalmente fino al 28 febbraio. Ma solo il 9 gennaio, dopo l’incontro tra Ilva e sindacati che sancirà la chiusura delle cosiddette «procedure di consultazione», sapremo qualcosa di più. Sapremo soprattutto se l’auspicata inversione di tendenza e il rientro al lavoro dei cassintegrati sarà effettivamente dopo il 28 febbraio o se slitterà a fine marzo. Sullo sfondo aleggia lo scenario da «grande depressione» del Terzo Millennio: il mercato del’acciaio in crisi perché l’industria manifatturiera è in ginocchio, il settore automobilistico paralizzato, la produzione di elettrodomestici in forte contrazione per il crollo della domanda.


I rappresentanti dell’Ilva tornano a discutere con i delegati sindacali di fabbrica nella giornata di oggi. Temi centrali certamente gli esuberi, ma anche le pesantissime chiusure di reparti. Il Gruppo Riva spera in una ripresa del mercato di tubi e lamiere anche se al momento tutto è sotto la coltre gelata della crisi che detta i tempi, i suoi tempi.

In dettaglio, i numeri (nuovi) della cassa integrazione sono freddi e spietati. Vale la pena partire dal totale per avere il quadro severo della situazione. Su 10mila 493 lavoratori dei reparti area ghisa, area acciaieria, area laminazione, area servizi e area manutenzione saranno posti in cassa integrazione 4mila 346 unità pari al 41 per cento. Nell’area ghisa ai 290 cassintegrati se ne aggiungeranno altri 607 (con una incidenza del 35 per cento sulla forza lavoro).

Nell’area ghisa sono, infatti, impiegate 2mila 644 unità. Sono 721 i dipendenti che si aggiungeranno ai 159 previsti dall’accordi sulla cassa integrazione nell’area acciaieria. L’incidenza è del 38 per cento su 2mila 334 unità. Nell’area laminazione i lavoratori sono, complessivamente, 1657. Qui il ricorso all’ammortizzatore sociale riguarda, per la verità, «solo» 60 lavoratori. Ma in base all’accordo in cassa integrazione devono andarci già 1100 dipendenti: il numero più alto di tutti i reparti Ilva. L’incidenza complessiva sulla forza lavoro è del 67 per cento. Nell’area servizi i nuovi cassintegrati sono 307 e si aggiungono ai 207 già previsti dall’accordo azienda-sindacati. Su 1775 dipendenti del reparto è il 33 per cento. Infine, l’area manutenzioni. L’intesa aveva fissato a 320 il numero dei cassintegrati. A questi si aggiungeranno altri 505 operai. Su 2083 lavoratori è il 40 per cento.

La fermata degli impianti coinvolgerà anche le batterie 5 e 6 della cokeria. Non è ancora chiaro se l’azienda intende investire anche in questo caso per migliorare la compatibilità ambientale delle due batterie, così come ha fatto nel caso della batteria numero 4 (anch’essa chiusa) in base all’accordo sulla cassa integrazione firmato qualche giorno fa e già superato dalla crisi.

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